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Numeri / la recensione di Giuliano Mesa

Una recensione di Giuliano Mesa per "Sinestesie"

Silvia Tessitore, "Numeri"

Lavagna (Ge), Editrice Zona, 1998 – pp. 96

Collana “Scritture. La nuova poesia italiana”, diretta da Guido Caserza

 

Silvia Tessitore è giunta a questi Numeri dopo le prove di Aspirina (Edizioni del Delfino 1988) e de Gli ornitorinchi (Ripostes 1994), nelle quali prevaleva un meditare partecipe e ironico sulla condizione dissestata, malaticcia (dunque bisognosa di farmaci) e “in estinzione” (come gli ornitorinchi) di un soggetto fortemente segnato da “abitudini sociali” divenute obsolete, arcaiche, nel breve volgere di un decennio (quello, famigerato, degli Ottanta). Anche il “tema amoroso”, costante, vi era detto con le tenerezze, o i sarcasmi, di chi fatica a separare, se non proprio a “distinguere”, pubblico e privato (il personale e il politico, come si diceva un tempo). In brevi esempi: “Sarebbe bello se questa notte piovesse / anche su quest’angoscia postuma / che ancora mi ossigena il cervello” (da Aspirina); “La storia ci ha voluti ornitorinchi, / creature in mutamento / in questo guado scomodo. / Ogni tre generazioni / muore di vecchio il vecchio” (da Gli ornitorinchi). “Musica leggera” aveva definito Francesco Piccolo questo versificare nutrito di memorie ritmiche, sintattiche e lessicali attinte alla colloquialità, a una lingua “parlata e vissuta”, con diffidenza verso un “rigore estetico”, una “autonomia”, che potrebbero rinchiudere le poesie in un contesto endoletterario, autoriferito. E “musica leggera” intitola Silvia Tessitore la nota che accompagna i Numeri, ma quasi con intento scaramantico, quasi nel timore che l’irrigidirsi, pur se relativo, delle “forme” incrudelisca, raggelandoli, i “contenuti”, tematicamente affini a quelli dei libri precedenti, ma resi qui con maggiore secchezza, e disincanto, ché il dissesto è andato tramutandosi, col trascorrere dei Novanta, in cronica, assestata devastazione, mentre, si direbbe inevitabilmente, assumeva maggior consistenza tematica il metadiscorso. Tessitore, tuttavia, sembra dirsi estranea, nelle intenzioni, sia al compiacimento degli esercizi stilistici che ad una pronuncia drammatica della pur drammatica “materia” che nelle sue poesie si incontra. La numerologia che governa i componimenti può forse essere intesa, dunque, come un gesto doppiamente delimitante, che indica al lettore una duplice incertezza, se non ancora sfiducia, e nella parola d’uso poetico, connotativa, formalmente “compiuta”, e nella parola d’uso referenziale, denotativa.

 

Questa “doppiezza” è poi, in effetti, resa esplicita nella terza poesia di 6 x 6 (Scherzo per una sera fredda): “Parola, parola doppia / che insiste sempre / in ogni direzione. Ogni parola cerca / - fra i pensieri - / tutte le vostre chiavi.”, e lo è altresì, visivamente, nella disposizione dei versi su due “colonne” (in 3 x 6 e in Dell’immortalità del vampiro). Guido Caserza, nella sua nota critica, può così parlare di una “doppiezza strutturale e procedurale della raccolta”, doppiezza che pone tuttavia il secondo numero della serie come primo di una sequenza potenzialmente infinita. E dunque occorre “chiudere”. Se ogni parola è precaria, instabile, e se lo è, ormai, irrimediabilmente, unico rimedio si ricava dalla farmacopea dei numeri, il cui arbitrio “assoluto” fa da contrappeso alla defatigante arbitrarietà “relativa” delle parole. Contrappeso “leggero”, tuttavia; più che forma chiusa, “perimetrazione ritmica”, come scrive Caserza. Sfidare le forme, infatti, presuppone una fiducia in esse che Tessitore, per i motivi prima ipotizzati, sembra non avere, o non voler avere.

 

Ma è opportuno, adesso, ascoltare alcuni versi, prima di rischiare una inappropriata “chiusura concettuale”, più attenta alla poetica che alle poesie, forse resa necessaria, qui, dalla presenza forte di tratti che rimandano alla questione, dibattutissima, delle cosiddette forme chiuse.

 

E subito, ad apertura di volume, nelle 6 (figure), troviamo “tematizzato” il nucleo di riflessione che percorre i primi due libri di Tessitore: “l’età”, col passaggio, storico e culturale, a una “nuova” solitudine (“I sentimenti – l’opera del cuore – non è più filo / che si tesse in due.”). Ma le figure successive privilegiano la metariflessione, sono intitolate ai modi dello scrivere (“il giocoliere”, “la lettera”) e alla “doppiezza” della parola, alla sua inaffidabilità semantica, al suo moltiplicarsi o scindersi in echi (“lo specchio”, “il fantasma”). Così leggiamo, nel “giocoliere”: “Più mi avvicino / più evito qualcosa / come se fosse viscido, intoccabile. Sento / la somiglianza, / evito conseguenza.” Poiché la “materia” sfugge, è “viscida” e “intoccabile”, si evita l’immedesimazione, la predominanza di un “contenuto” fiducioso nella denotazione, per affidarsi, invece, alla “rappresentazione”, e alla “esteriorità” delle parole: “La rappresentazione è tutto [...] Parole dietro / a parole, con precisione / ritmica, piena significazione.” È una fiducia paradossale, che deriva dalla “incertezza” costitutiva di queste parole “tagliuzzate” “dietro ai silenzi”, e, ancor più, dal loro essere nemiche (“parole dell’avversario”). Dunque una fiducia antisublime, ma non anacronisticamente dissacrante, nella consapevolezza che l’arte del “giocoliere”, se una “abilità” dimostra, è quella “del vivere”, “sapendo catene e facce d’uomini”. Ancora, dunque, un affidarsi cauto e calibrato a ciò che le parole “mancano”, mentre consiste, sempre più, “il fantasma”: “iato nel fiato / ombra nella penombra”.

 

Tra i brevi testi della seconda sezione, 6 x 6, abbiamo detto come vi sia, centrale, l’annotazione di poetica sulla “parola doppia”. Nella successiva 3 x 6 (esercizio per la stagione calda) è di rilievo la citazione in esergo, da Sinisgalli, dove, in modo tutt’altro che casuale, si afferma che “una forma chiusa” è per il poeta sommamente “riposante”, e che “il dogma” è “fertile” come soltanto è fertile l’”errore”. La dogmaticità numerologica, tràmite la quale l’autrice si impone una “chiusura”, ha la fertilità di un errore consapevolmente compiuto: quello dell’insistenza stessa nel “produrre” variazioni su un modello seriale basato sulla non ripetibilità e che, come Tessitore ci dice in nota, l’aveva portata a comporre settanta “colonne”, poi ridotte a diciotto, per formare nove poesie “a specchio”. Proprio la potenziale quantità innumerevole dei risultati ottenibili a partire da un modello “dogmatico” ne denuncia, per così dire, la fallacia, se ancora si vuole che le poesie non si riducano a enigmistica, là dove la tensione tra “forma” e “contenuto” si rilassa fino allo spegnimento. Da qui, da questa constatazione, pare provenire il tono fermo, forse non leggero, delle “colonne” 13 e 14: “ci / vuole / poco / a farli / e / a tinteggiarli // questi / gozzetti / che / vanno / a / memoria // nel / gorgo / nero / della / storia / altrui”; “Ma noi non / decidiamo / mai / dove / né / quando, // questi sono / gli uncini / del racconto, / stracciarono / la tela e / il ragno insieme // prima che / cominciasse / il finimondo, / passato o / prossimo che / non ci appartiene.” Questa fermezza, che vorremo dire etica, consente tuttavia di recuperare proprio la “leggerezza” dell’impianto numerologico nella sua funzione di contrappeso, funzione che svanirebbe se svanisse quel peso, quella densità semantica, inattingibile, sfuggente, ma non ancora abbandonata al ghirigoro intercambiabile. Così, dopo un apice metadiscorsivo, nelle sezioni ultime del libro si leggono ancora poesie forse meno timorose della “parola doppia”, pur rimanendo forte la schermatura numerica, accentuata ulteriormente, nel notevole Dell’immortalità del vampiro, dal “prestito letterario” (qui dal Dracula di Stoker). E infine, al percorso poetico di Silvia Tessitore, al suo proseguire oltre questa necessaria “prova di astrazione”, ci sembrano viatico opportuno le parole, da lei stessa citate, di Marina Cvetaeva - parole di ascolto, intenso, fuori di sé: “Mormorio di secoli. Scalpitio di zoccoli”. Giuliano Mesa

 

Giuliano Mesa nato a Salvaterra (Re) nel 1957, ha raggiunto la notorietà attraverso un lavoro costante, fatto di ricerca e passione per la lingua e la poesia. E' stato tra i promotori del progetto ákusma. Forme della poesia contemporanea (Fossombrone, Metauro, 2000), che raccoglie le voci più incisive della poesia e della critica contemporanee. Ha pubblicato numerose raccolte di poesia ed è scomparso prematuramente nel 2011. 

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